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Il sogno di Francesco Nuti: quando il cinema diventa casa

  • 29 ago
  • Tempo di lettura: 2 min

Da adolescente, c’era un film che mi abitava dentro più di altri. Non era il più acclamato, forse nemmeno il più riuscito tecnicamente, ma aveva qualcosa che lo rendeva unico per me: Tutta colpa del Paradiso di Francesco Nuti.

La storia è semplice, quasi fiabesca: un giovane uomo esce di galera e parte alla ricerca del figlio, che nel frattempo è stato adottato da una coppia che vive in un rifugio tra le montagne. Ma dietro questa trama si nasconde un mondo interiore fatto di sogni, di attese, di paesaggi che sembrano parlare al cuore.



locandina tutta colpa del paradiso


Quello che mi ha sempre colpito è l’atmosfera: l’estate in montagna, il verde che avvolge

ogni scena, il rifugio isolato che diventa simbolo di speranza, di rinascita, di amore ritrovato. Il protagonista, romantico e malinconico, incarna il desiderio di ricominciare, di ricucire ciò che è stato strappato. E il bambino — figura centrale e luminosa — è il sogno stesso, la possibilità che qualcosa di puro possa ancora esistere.

Altri film di Nuti mi hanno sicuramente colpito, e Io, Chiara e lo Scuro è uno di quelli. Non una piccola perla, ma un film seminale, il titolo che ha segnato la sua ascesa e ha definito il suo stile: intimo, malinconico, sospeso. Un’opera che ha aperto la strada a tutto ciò che sarebbe venuto dopo.

Tutta colpa del Paradiso, però, resta il mio sogno. Non solo per la sua ambientazione quasi irreale, ma per il modo in cui riesce a parlare di sentimenti profondi senza mai urlare. È un viaggio, sì, ma anche una carezza.

Rivederlo oggi è come tornare a casa. E forse è questo che fa un sogno: ci riporta dove siamo stati felici, anche solo per un attimo.

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