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quando incontrai il mio profeta. a bob dylan dream

  • G.
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 2 min

bob dylan, the freewheeling' bob dylan
the freewheeling' bob dylan



Sono trascorsi trentadue anni dal mio esame di maturità, ma porto ancora con me una frase che scrissi nel tema di italiano: “Non c’è dubbio che, al di là del culto della personalità, Bob Dylan non sia stato solo un cantautore ma un poeta e un profeta”. L’avevo presa in prestito da una prefazione, ma mi rimase impressa, tanto che la ricordo ancora oggi, mentre spesso dimentico la lista della spesa scritta pochi minuti prima. Forse il motivo risiede proprio nella parola “profeta”, che per me ha sempre avuto un’aura leggendaria. Ma perché Dylan viene definito profeta?


Per chi conosce anche solo superficialmente la sua storia, è immediato pensare a Dylan come pioniere della musica impegnata, capace di fondere canzoni di protesta con un rock che, negli anni Sessanta, era considerato “musichetta per adolescenti”. Tuttavia, la sua figura va oltre questa etichetta. Non credo che Dylan sia nato sotto il segno del puro talento innato: la sua prima canzone fu una stonata allegria senza pretese, tanto che, pubblicato il primo album, quella traccia venne rapidamente dimenticata. Eppure, già allora, lui si era conquistato la fama di cantante di protesta, non perché sentisse davvero quel ruolo, ma piuttosto per emergere nel panorama musicale.


Dylan fu un simbolo della protesta solo per tre anni, su una carriera lunga sessantaquattro, eppure per molti ancora oggi è il “menestrello dei diritti civili”, mentre altri artisti hanno dedicato una vita intera a quella missione. Dylan, invece, tracciava un percorso, ma si stancava presto delle etichette.  Dopo aver “processato i padroni della guerra”, cambiò rotta: dagli acidi alle sonorità elettriche, dai temi universali alle incertezze quotidiane, ogni periodo durava solo tre anni. All’apice del successo, scelse la tranquillità della campagna, tra figli e musica country, desideroso di una vita semplice, prima di tornare — dopo tre anni — con nuovi progetti, come il celebre tour che anticipò il Never Ending Tour ancora oggi in corso.


Ancora una volta, quasi per destino, Dylan si dedicò poi alla musica religiosa, su quel “treno lento” che, in un modo o nell’altro, coinvolge tutti. Quando i critici lo davano per finito, arrivarono nuovi capolavori, premi Oscar e Grammy, quando altri avrebbero già appeso i sogni al chiodo. Torniamo così all’idea di profeta: colui che indica una via, non solo in senso religioso. Forse, la più grande lezione di Bob Dylan è proprio questa. Risorgere non significa vivere dopo la morte, ma sapersi reinventare prima della fine, cadere e poi rialzarsi, avere il coraggio di cambiare anche a costo di deludere chi ci segue e chi ci ama.

1 Comment


Giorgio Bellone
Giorgio Bellone
2 giorni fa

Wow che bello!!!

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